giovedì 24 marzo 2011

La Terra Dei Borbone

La TERRA DEI BORBONE
La VERA STORIA del REGNO delle DUE SICILIE
mai SCRITTA dai LIBRI di SCUOLA

DOMENICA 27 MARZO 2011 – ore 19.00
(Torremaggiore – via Pio La Torre)

Organizzazione e informazioni:
Prof. Ettore D’Amico
Dott. Nazzario D’Errico
Dott. Raffele Luciano

La storia mai raccontata…

In tema di celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, da una parte del Sud si è ritenuto opportuno dare un contributo per una verità storica del nostro Risorgimento, diversa da quella scritta sui libri di scuola…
Tra fantasia e realtà Li chiamarono… briganti! , diretto nel 1999 da Pasquale Squitieri, è considerato un film di assoluto valore ed interesse storico incentrato sulle vicende del brigante lucano Carmine Crocco e della sua banda, che hanno incarnato la vera resistenza degli uomini e donne del sud Italia contro i Savoia invasori.
Si tratta di una storia prettamente revisionista, volta a raccontare un’altra versione dei fatti avvenuti nel post – Risorgimento nel meridione d’Italia che mette in evidenza in maniera cruda le atrocità che l’esercito piemontese perpetrò nei confronti delle popolazioni lucane; stupri, eccidi di massa compiuti in nome del diritto di rappresaglia e decapitazioni dei briganti, le cui teste furono messe in mostra per impaurire le popolazioni locali. Quest’episodio fa riferimento ad una pratica utilizzata spesso durante la repressione del brigantaggio, documentata attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Inoltre Squitieri mette in luce altri aspetti di questa controversa pagina storica come i contatti tra governo sabaudo e criminalità organizzata per acquietare le rivolte e le conseguenze negative dell’unità d’Italia che si abbatterono nel sud della penisola con la nascita di fenomeni sociali come la “questione meridionale” e “l’emigrazione”.
Molteplici in quegli anni erano in Italia le correnti d’opinione che possono raggrupparsi in due grandi movimenti: quello dei conservatori dello status quo (aristocratici e nobili, uniti all’intero mondo contadino) e quello che auspicava un’Italia unita, governata da un potere borghese e monarchico (unionisti, annessionisti, federalisti, teocratici).I piemontesi, i liberali, i galantuomini risolsero il tutto dando inizio, il 6 maggio 1860, all’invasione dei territori del Regno delle Due Sicilie. Scrive Lucera: «Non si andava a soccorrere nessuno, perché nessuno aveva chiesto aiuto. Non si andava ad abbattere nessun sovrano assoluto perché non si sostituisce un sovrano assoluto con un altro dello stesso genere… Non si andava a liberare nessun paese, perché nessun paese era occupato da un altro popolo straniero».Fu una pura e semplice annessione. I “cattivi maestri” di questa losca operazione furono Giuseppe Garibaldi (eroe o pavido?, ateo e negriero?, esperto finanziere o ladro?), Cavour (lo spergiuro adultero), Giuseppe Mazzini (il “rivoluzionario”) e Liborio Romano (l’uomo di Patù).
Il 17 marzo dell’anno 1861 il parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II non re degli italiani ma «re d’Italia»! L’autoproclamato nuovo Regno d’Italia, costò centinaia di migliaia di morti tra i partigiani meridionali e siciliani (denominati dispregiativamente “briganti”), deportazioni, interi paesi rasi al suolo, torture, stupri, leggi razziali e fame.
Una panoramica dal Sud post-unitario costretto a finanziare le grandi imprese del Nord, all’abbattimento dei settori industriali meridionali all’avanguardia, la storia di una cultura da rivalutare, o scoprire, per conoscere le nostre vere radici, la nostra identità.
Briganti: delinquenti o resistenti, malfattori o patrioti?
Il Brigantaggio ebbe inizio storicamente all’indomani della partenza per l’esilio del Re Francesco II di Borbone, avvenuta il 13 febbraio 1861. Se i briganti furono delinquenti allora l’Italia nacque legittimamente, ma se i briganti furono patrioti e resistenti allora è tutta un’altra storia. La storia del mezzogiorno contemporaneo sembra essere un tutt’uno con la storia della questione meridionale. La storia delle cause e delle responsabilità piuttosto che la vicenda storica effettiva. Vae victis, una storia raccontata dai vincitori ed i vinti del Sud che si dovranno sempre giustificare sul perché si siano battuti “per la parte sbagliata”.
Si consumarono diversi eccidi nei territori dell’ormai decaduto regno duosiciliano, di cui i più noti furono quelli di Casalduni e Pontelandolfo, due paesi del Beneventano. In data agosto 1861, il generale Enrico Cialdini (il macellaio) ordinò una feroce rappresaglia contro i due comuni, ove i briganti di Cosimo Giordano, durante un’azione di guerriglia, uccisero 45 soldati sabaudi. Cialdini inviò un battaglione di cinquecento bersaglieri a Pontelandolfo, capeggiato dal col. Pier Eleonoro Negri, mentre a Casalduni mandò altri soldati capitanati dal maggiore Melegari. I due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo, lasciando circa 3.000 persone senza dimora, e il numero ufficiale delle vittime non è stato ancora reso noto; le cifre vanno da un centinaio a più di un migliaio di morti.
Altri militari che si distinsero per le loro atrocità contro il brigantaggio furono: Alfonso La Marmora, Pietro Fumel, Raffaele Cadorna, gen. Pallavicini (acerrimo nemico del brigante Michele Caruso), Enrico Della Rocca e Ferdinando Pinelli. Altre città che subirono una sorte simile furono Montefalcione, Campolattaro e Auletta (Campania), Rignano Garganico (Puglia), Campochiaro e Guardiaregia (Molise), Barile e Lavello (Basilicata), Cotronei (Calabria).

Tali provvedimenti suscitarono polemiche, anche da parte della classe liberale. Giovanni Nicotera, intervenne in Parlamento dicendo:
« I Proclami di Cialdini e degli altri Capi sono degni di Tamerlano, di Gengis Khan, o piuttosto di Attila. »
Lo stesso Nino Bixio (che partecipò alla spedizione dei Mille e fu protagonista del discusso episodio della strage di Bronte) denunciò questi metodi in un discorso alla camera il 28 aprile 1863:
« Si è inaugurato nel Mezzogiorno d’Italia un sistema di sangue. E il Governo, cominciando da Ricasoli e venendo sino al ministero Rattazzi, ha sempre lasciato esercitare questo sistema »
I metodi violenti delle truppe sabaude furono infine applicati anche per la repressione dei moti di protesta operaia per la chiusura progressiva di impianti industriali, come lo stabilimento siderurgico di Pietrarsa (attualmente sede del Museo Nazionale Ferroviario), dove il 6 Agosto 1863, per reprimere le proteste degli operai, intervennero Guardia Nazionale, Bersaglieri e Carabinieri, lasciando sul terreno decine di morti e feriti. Al comando delle truppe c’era il Questore Nicola Amore, successivamente divenuto sindaco di Napoli, che nella sua relazione al Prefetto parla di fatali e irresistibili circostanze.
Il nuovo Regno d’Italia schierò ben 211.500 soldati e inviò i suoi ufficiali di maggior rilievo, eppure per molto tempo non riuscì a distruggere neppure una banda. Nel 1863, fu istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta dal deputato Giuseppe Massari quale venivano indicate le cause del brigantaggio: la miseria delle popolazioni, dovuta ovviamente all’oppressione borbonica; era povera perché affamata dai Borbone. Dalla relazione Massari ebbero come risultato la promulgazione della – Legge Pica – che autorizzava lo stato d’assedio nei paesi battuti dai briganti.
Risultato: quasi un milione di morti (stima), 54 paesi distrutti, stupri e violenze inaudite, processi e fucilazioni sommarie. Da un diario di un ufficiale sabaudo: – Entrammo in un paese e subito incominciammo a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitavano – Pontelandolfo paese del beneventano fu letteralmente raso al suolo. Anche la storiografia corrente ha riconosciuto che la repressione contro il Brigantaggio ha fatto più vittime di tutte le altre guerre risorgimentali messe insieme. Ma c’è di più, purtroppo, … campi di concentramento, il più temibile quello di Fenestrelle fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. Ufficiali, sottufficiali e soldati ( militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo o quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II e che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce. La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è leggibile: “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”. (ricorda molto la scritta dei lager nazisti). Già nel 1862 essendosi fatta insostenibile la sistemazione dei prigionieri di guerra e dei detenuti politici, con la deportazione degli abitanti d’interi paesi, con le “galere” piene fino all’inverosimile, il governo piemontese diede incarico al suo ambasciatore a Lisbona di sondare la disponibilità del governo portoghese a cedere un’isola disabitata dell’Oceano Atlantico, al fine di relegarvi l’ingombrante massa di migliaia di persone da eliminare definitivamente. Il tentativo diplomatico, tuttavia, non ebbe successo, ma la notizia riportata il 31 ottobre dalla stampa francese suscitò una gran ripugnanza nell’opinione pubblica.
Ma l’aspetto più indecente di questa parte di storia è relativa ai debiti di guerra (Cavour ne fece tre in dieci anni!) a cui si sommavano anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull’esercito borbonico. Il Piemonte era indebitato con Francia e Inghilterra ed il regno Borbonico rappresentava una vera e propria miniera d’oro per la borghesia espansionistica piemontese e per gli affaristi internazionali.
Le riserve auree del Regno delle Due Sicilie (500 milionidi lire contro i 100 dei piemontesi) avrebbero permesso di stampare carta moneta per circa tre miliardi, una vera e propria manna a cui si aggiungevano le nuove tasse imposte ai 9 milioni di abitanti, i risparmi, le terre ed i beni sottratti alle autorità ecclesiali destinati allo sviluppo dell’agricoltura padana. Tutto in nome dell’unità d’Italia!.

Il Sud fu depredato e soggetto ad una dura imposizione fiscale “nel Regno delle Due Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo regime, le tasse erano salite fino a 28 franchi a testa, il doppio di quanto pagava “l’oppresso popolo napoletano prima che Garibaldi venisse a liberarlo”. L’abolizione del protezionismo e l’eccessivo liberismo dello stato sabaudo espose le industrie alla concorrenza esterna, l’economia dei borboni non era pronta all’internazionalizzazione come del resto quella italiana non lo è stata fino al 1960, 100 anni dopo! La stampa europea definiva il sud borbonico arretrato ed inefficiente, termine ancora oggi in uso per indicare qualcosa che non funziona, ma come giustificare il proliferare di attività industriali? Come mai molte fabbriche vennero smantellate come il noto complesso di S. Leucio, i cui telai furono portati qualche anno dopo a Valdagno utilizzati per fondare la prima fabbrica tessile nel Veneto come anche le ferriere di Mongiana, i cui macchinari furono trasferiti in Lombardia.
Una rivendicazione di una storia autonoma del Sud Italia è improponibile ma è possibile individuare le radici profonde dello sconvolgimento della vita di milioni di uomini e dell’economia che hanno cambiato la faccia della popolazione meridionale negli ultimi 150 anni. La storia dei rapporti tra Nord e Sud, le radici della storia della questione meridionale.
La dominazione dei Borbone non si poteva definire una condizione di vita ideale, ma non poteva e non doveva essere il trampolino per un’unificazione dei territori che ebbe il solo pretesto di trasferire le ingenti ricchezze meridionali nel nord del paese. L’economia meridionale fu invece definitivamente messa in ginocchio con i terreni espropriati, con la leva obbligatoria e con le tasse che in soli 3 anni dall’unità raddoppiarono. Una serie di concause che spinsero migliaia di meridionali ad emigrare in cerca di quelle condizioni di vita che ormai il sud non poteva più offrire.
Infatti gli anni successivi all’unità d’Italia, a causa della miseria prodotta dal sistematico saccheggio delle risorse dei territori e delle popolazioni occupate dal nuovo regno sabaudo, segnano l’inizio della “DIASPORA” delle popolazioni del Sud; i periodi interessati dal movimento migratorio vanno dal 1876 al 1915 e dal 1920 al 1929 circa. Sebbene il fenomeno fosse già presente fin dai primi anni dell’Unità d’Italia, è nel 1876 che viene effettuata la prima statistica sull’emigrazione a cura della Direzione Generali di Statistica. Si stima che solo nel primo periodo partirono circa 14 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), a fronte di una popolazione italiana che nel 1900 giungeva a circa 33 milioni e mezzo di persone. Oggi, nel sud il fenomeno esiste ancora, chissà perché…buona fortuna giovani !

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